Nel
1983 il Prof. Leo Steinberg pubblicò un saggio destinato a
inaugurare un nuovo filone di ricerca nella storia dell’arte: La
sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio
nell’epoca moderna.
Lo studio di Steinberg prende le mosse dal libro del gesuita John W.
O’Malley Praise and
Blame in Renaissance Rome,
dedicato ai sermoni che venivano pronunciati alla corte papale tra il
1450 e il 1521. Dal libro di O’Malley si desume che i predicatori
rinascimentali ponevano l’accento sulla valenza salvifica
dell’Incarnazione più che su quella della Passione, arrivando a
definire una vera e propria “teologia incarnazionale” che,
secondo Steinberg, trova il suo corrispettivo nella rappresentazione
figurativa del Cristo. Dalla fine del XIV° secolo alla metà del
XVI°, il tema figurativo della nudità del Cristo con l’ostentata
esibizione del sesso di Gesù ricorre costantemente negli artisti di
tutta Europa. La critica d’arte aveva sempre inserito questo
fenomeno nel quadro di un vago “descrittivismo naturalistico” che
si sarebbe sviluppato nel corso del Rinascimento. A questa tesi era
ad esempio ricondotto anche il gesto del Bambin Gesù che tocca il
mento della Vergine; tuttavia anche in questo caso Steinberg sostiene
che questo gesto non sia solo un particolare giocoso e affettuoso, ma
che nasconda un gesto rituale antichissimo. Nell’antico Egitto la
carezza sul mento aveva una chiara valenza erotica, e sempre come
gesto di corteggiamento lo si ritrova in Grecia con raffigurazioni di
Amore che accarezza il mento di Psiche, e ancora nella scultura
romanica, dove Erode accarezza il mento di Salomè. È quindi del
tutto probabile che questo gesto dal significato erotico per gli
artisti rinascimentali designasse Gesù come Sposo celeste della
Vergine.
Allo
stesso modo il tema del sesso di Cristo era esplicitamente trattato
dall’arte rinascimentale perché si prestava particolarmente a
evidenziare la realtà dell’Incarnazione, e l’ostentazione del
Cristo nudo naturalmente non aveva nulla di voyeristico nel contesto
di una sacra rappresentazione. A dimostrazione di questo, Steinberg
chiama in causa anche un’affermazione del filosofo greco Eraclito
che, a proposito dei culti dionisiaci, disse: «se non fosse perché
marciano in processione e intonano l’inno al fallo in onore di
Dioniso, il loro fare sarebbe di somma impudenza». Numerose sono
anche le rappresentazioni dell’Adorazione dei Magi in cui lo
sguardo dei Magi è palesemente rivolto al sesso del bambino. Inoltre
la vergogna per le pudende era insita nell’uomo come conseguenza
del peccato originale, ma da questa colpa era esente il Figlio di Dio
per il quale, quindi, era insensato parlare della vergogna della
nudità. Questo concetto è particolarmente evidente nella celebre
statua di Michelangelo che rappresenta il Cristo risorto,
completamente nudo, le cui fattezze richiamano quelle di un atleta
pagano e che, comunque, si ispirava alla speranza cristiana
dell’assenza di peccato concretamente incarnata. Dunque
l’esibizione della sessualità di Cristo è prova della sua
umanazione, e questo concetto era ribadito nel tema della Maria
lactans. In tali
immagini il bambino succhia il latte dalla mammella della Vergine con
lo sguardo rivolto allo spettatore, quasi a dire: «vedete che mi
nutro di latte materno come tutti gli esseri umani».
Steinberg
ripercorre le fasi del progressivo denudamento della figura del
Cristo: nell’arte bizantina il Cristo bambino è rappresentato
vestito, nel XIII° secolo si avverte la tendenza a rappresentare
scoperte le gambe del bambino, poi nel corso del XIV° secolo la
figura è avvolta dal velo trasparente fino a quando, verso la fine
del ‘300, è ormai pratica diffusa rappresentare l’infante nudo.
Al
tema della nudità del Cristo si affianca quello della circoncisione
che avvenne nell’ottavo giorno dopo la nascita. Anche questo tema
era particolarmente importante poiché, oltre a ribadire la natura
umana del Cristo che soffre per l’incisione della carne,
rappresentava il primo momento in cui il Cristo aveva versato sangue
per l’umanità, un momento che si ricollegava idealmente alle
ferite della Passione. A confermare quest’idea ci sono anche
numerose rappresentazioni del Gesù morto in cui dalla ferita al
costato scende un fiotto di sangue che, in deroga alla legge della
gravità, scorre non sulla coscia destra ma verso l’inguine, per
ricondurre il sangue della Passione alla prima ferita di Gesù. Non
meno numerose sono le rappresentazioni del Cristo morto in cui Gesù
ha la mano sull’inguine: secondo Steinberg questo gesto non è
tanto dettato da senso del pudore, ma piuttosto richiama lo
spettatore alla prima ferita della circoncisione.
Ancora
più problematiche, poi, sono le immagini in cui il sesso del Cristo,
dolente o risorto, viene presentato, senza possibilità di equivoco,
in erezione sotto il perizoma. Immagini di questo tipo non sono
diffusissime, ma se ne trova qualche esempio per lo più in area
fiamminga. Steinberg interpreta il tema considerando la potenza del
fallo maschile come simbolo della resurrezione, e supporta la sua
tesi con un parallelo letterario: la novella decima della giornata
terza del Decameron,
dove Boccaccio narra di come l’eremita Rustico insegnasse
all’ingenua fanciulla Alibech la religione cristiana, che
consisteva nel “mettere il diavolo all’inferno” e nella
“resurrezione della carne”, come metafore dell’attività
sessuale dell’organo maschile. Non si deve pensare, infatti, che la
mentalità religiosa medievale e rinascimentale fosse eccessivamente
moralistica sui temi sessuali, e Steinberg osserva che la religione,
quando cessa di offrire materia di facezie o anche di sonore
bestemmie, è ormai devitalizzata. In effetti col diffondersi del
rigorismo protestante e della speculare risposta della Controriforma
cattolica, il tema della nudità del Cristo tende a scomparire, al
punto che vengono anche manipolate molte immagini rinascimentali che
rappresentavano il Cristo nudo, che viene opportunamente fornito di
mutande.
Naturalmente
la trattazione di Steinberg può essere integrata da numerose
osservazioni, che vanno dall’ideale francescano del “seguire nudi
il Cristo nudo”, alla riscoperta dell’arte pagana dell’antichità
con eroi e Veneri che mostrano orgogliosamente la loro nudità
rituale. Le tesi di Steinberg, comunque, hanno aperto percorsi di
studio stimolanti e suscettibili di ulteriori approfondimenti, sia in
relazione al tema preso in esame, sia per quanto riguarda la
metodologia della comparazione fra temi figurativi e temi teologici o
letterari.
Leo
Steinberg, La
sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio
nell’epoca moderna,
il Saggiatore, Milano 1986, pp.228
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