Il
Prof. Jean Haudry è un insigne studioso di indoeuropeistica, e il
suo libro La religion
cosmique des Indo-Européens
è un saggio che propone ipotesi e indirizzi di ricerca molto
suggestivi.
Lo
studio di Haudry esamina i concetti di giorno, di anno e di ciclo
cosmico che svolgono un ruolo molto importante nella tradizione
indoeuropea. Il termine indoeuropeo dyéw-,
che indica un’entità divina, designava originariamente il giorno
o, ancor più precisamente, il cielo diurno e quindi i suoi abitanti
divini. In contrapposizione a questo c’era il cielo notturno,
abitato da creature demoniache. Si sviluppa poi l’idea di un cielo
crepuscolare che segna il confine fra giorno e notte. Queste antiche
concezioni cosmologiche si riflettevano nell’organizzazione della
società, in cui le caste assumevano funzioni e attributi dei tre
aspetti del cielo, con i relativi colori: bianco (il cielo diurno,
coperto dalle nubi, che corrispondeva ai sacerdoti), rosso (il cielo
crepuscolare che corrispondeva ai guerrieri), nero (il cielo notturno
che corrispondeva ai lavoratori). Haudry ritiene che questa
simbologia si possa ravvisare anche nel mito greco di Deucalione e
Pirra, in cui Deucalione rappresenta il colore bianco, Pirra il
rosso, e le pietre che i due gettano alle loro spalle il nero.
Il
libro poi esamina l’origine del nome “eroe” che per l’autore
è legato alla sposa di Zeus, Hera. Prendendo spunto dalla formula
sanscrita che definisce eroe colui che “conquista l’anno”,
Haudry ritiene che l’eroe fosse inizialmente colui che attraversava
la tenebra invernale: fuor di metafora questo significa che nelle
fasi più arcaiche della storia indoeuropea la qualifica eroica era
attribuita a chi riusciva a sopravvivere ai terribili inverni delle
regioni nordiche. Tanto più che Haudry pensa che la sede originaria
degli Indoeuropei fosse il territorio circumpolare, in cui la notte
invernale si prolunga per settimane, e il cielo diurno appare quasi
sempre coperto dalle nuvole (da qui il colore bianco associato al
cielo invece di quello azzurro delle regioni mediterranee). Queste
concezioni cosmologiche possono dare indicazioni su come interpretare
miti e simboli indoeuropei. Ad esempio Haudry pensa che la cosiddetta
croce celtica, generalmente interpretata come simbolo solare,
rappresenti invece la ruota dell’anno con l’alternarsi delle
stagioni. Stesso significato avrebbe la ruota a quattro raggi di
Issione nella mitologia greca.
Buona
parte del libro è dedicata al mito di Hera il cui nome, come ha
mostrato F.R. Schröder,
deriva dalla radice indoeuropea che designa l’anno, e più in
particolare la bella stagione dell’anno. Da qui la connessione fra
Hera, la divinità che annuncia la primavera, e gli “eroi” che
hanno attraversato la tenebra invernale. Lo stesso leggendario eroe
Eracle proviene da questa etimologia, e in tutte le mitologie
indoeuropee, funzione dell’eroe è quella di raggiungere
l’immortalità solare.
L’attraversamento
dell’inverno suggeriva la metafora del guado, e alcuni testi della
mitologia nordica citano espressamente l’attraversamento dell’acqua
“invernale”. Sopravvivenze medievali di queste concezioni si
possono individuare nella storia di san Cristoforo, in cui il santo
fa attraversare un fiume a un bambino portandolo sulle spalle e, dopo
aver raggiunto l’altra sponda, riconosce nel fanciullo il Cristo:
un tipico esempio di qualificazione iniziatica dopo il superamento di
una prova.
Haudry
porta a sostegno delle sue tesi una quantità straordinaria di dati
storici, archeologici e filologici che mettono a confronto le civiltà
classiche con quelle dei Celti, dei Germani, degli Indiani, offrendo
agli studiosi delle più svariate discipline delle possibilità di
approfondimento decisamente stimolanti.
Jean
Haudry, La religion
cosmique des Indo-Européens,
Archè, Milano/Paris 1987, pp.330
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